Ci sono luoghi dove la memoria dell'uomo incontra la natura, posti in cui la dolcezza dell'elleboro bianco, il fiore dai grandi petali che spunta fra i cumuli di foglie secche, si scontra con la durezza di una guerra passata.
Nelle trincee della Linea Cadorna |
Qui, celata in un bosco di latifogli, scopriamo un tratto della Linea Cadorna il cui nome deriva dal generale che la ideò.
Per raggiungerla seguiamo la strada statale SS340 da Menaggio verso Porlezza e in località Croce, in corrispondenza del semaforo, svoltiamo a sinistra su via A. Wyatt, per poi parcheggiare l'auto nei pochi posteggi all'inizio di via Padre Pigato.
Dopo una breve passeggiata in ripida salita dimentichiamo le ville alle nostre spalle per lasciarci fagocitare dal bosco e vedere Linea Cadorna. Trattasi di un'opera in sassi e cemento, claustrofobica, realizzata tra il 1911 e il 1916 per proteggere il territorio italiano sia dall'attacco tedesco attraverso la Svizzera neutrale, sia da una possibile invasione degli stessi svizzeri. Una costruzione colossale di 72 chilometri di trincee e quasi 700 chilometri fra strade e mulattiere, frutto del lavoro di 40000 persone, perlopiù donne e ragazzi perché gli uomini erano stati quasi tutti arruolati. La frontiera venne divisa in sei settori e la 'Ceresio-Lario', da Como a Menaggio, è quella dove ci troviamo noi. Il suo restauro consente oggi di camminare in un incrocio di corridoi scavati nel terreno che agli occhi di Leonardo, nostro figlio di cinque anni, appare come un intrico giocoso in cui correre.
Cappella dedicata ai caduti |
Procediamo nei camminamenti individuando i ricoveri per gli uomini, le armi e i materiali, le posizioni di mitragliatrici e osservatori. Quindi sbuchiamo in un altopiano boschivo, una sorta di balcone naturale culminante con la cappella e poco oltre la Croce (in località Crocetta), entrambe posizionate su magnifici belvedere.
I sentieri procedono ancora tra rocce, querce, betulle e castani, noi però torniamo alla macchina per immetterci di nuovo sulla SS340 in direzione di Porlezza e poi apprezzare la bellezza della vallata dalla strada panoramica SP8 che scorre parallela ma in posizione più elevata, offrendo scorci sul piccolo specchio lacustre di Piano e l'inizio del lago di Lugano.
Se amate la cucina casalinga consiglio di pranzare al ristorante pizzeria La Rotonda a Carlazzo. Nonostante l'aiuto del navigatore non è semplice da trovare (meglio chiamare per prenotare e chiedere informazioni) ma una volta lì si ha a disposizione un vasto parcheggio, spazzi interni ampi e luminosi, terrazza panoramica, natura tutt'intorno, e si gustano piatti gustosi di polenta e funghi o carne, primi e secondi classici, pizza la sera e c'è pure il menù bimbi. Il prezzo è onesto e le porzioni abbondanti.
Una semplice passeggiata di cinquanta minuti fra andata e ritorno, è per noi l'ideale dopo pranzo. Si parte dal minuscolo piazzale della Chiesa di San Giorgio a 480 metri di altitudine, o in alternativo dalla vicina area di sosta all'incrocio della SP8 con via San Giorgio. Dall'edificio religioso il sentiero ben tenuto s'inoltra pressoché pianeggiante in una selva di latifoglie private del fogliame per colpa dell'inverno e, per questo, in cui spicca il verde dei cespugli di pungitopo e degli alberi di agrifoglio. Fra di essi, a un tratto, ci troviamo in un prato al centro del quale si erge il Rogolone, una quercia maestosa con la circonferenza del tronco di ben 8 metri, l'altezza di 25, e la cui nascita risale al 1710. La crescita prosperosa è dovuta alla presenza di una sorgente nelle vicinanze, visibile pure nei rigoli di acqua sul tracciato, unita alla buona esposizione soliva e, ovviamente, a una buona dose di fortuna, aspetto determinante nell'esistenza di ciascun essere vivente.
Lì accanto protende i rami verso il cielo anche il Rogolino, un'altra quercia monumentale con un secolo in meno di vita... un adolescente rispetto al fratello Rogolone. Se ci raffrontiamo a tali esemplari capiamo quanto l'esistenza dell'uomo sia debole, fragile, estremamente breve. E' vero, possiamo radere al suolo montagne e foreste, deviare fiumi e far sciogliere ghiacciai, ma siamo sicuri che l'essere forti significhi questo?
Cappelletta di San Domenico |
Trenta minuti, trascorsi in parte inerpicandosi lungo una strada in salita piena di curve, conducono al piccolo abitato di Breglia, adagiato ai piedi del monte Grona a 750 metri di altezza.
Dal parcheggio accanto al parco giochi ha inizio un percorso ad anello con lievi dislivelli della durata di circa un'ora, pause comprese, inghiottito dai castani e in grado di collegare due luoghi intrisi di religiosità e impreziositi da panorami meravigliosi. Il primo è un affaccio a strapiombo, proteso verso il blu del cielo e del lago, su cui si aggrappa la Cappelletta di San Domenico, ben tenuta e abbellita da affreschi interni. Ammirare uno dei punti più fascinosi del lago di Como, dove la penisola di Bellagio divide in due l'acqua dando origine ad altrettanti ambienti simili a fiordi, fa emozionare il cuore. Bisogna sedersi, osservare, mettere a fuoco, e poi guardare ancora per essere sicuri di fissare nella mente una veduta così sorprendente.
Scalinata per il Santuario |
E' giunto davvero il tramonto e la repentina discese della temperatura ci costringe ad abbandonare il colle. Torniamo al parcheggio passando vicino a una tomba in sasso di epoca tardo romana e accontentiamo Leonardo con un ultimo tiro a pallone, trovato nel prato del parco giochi.
Arrivederci Breglia, alla prossima meravigliosa escursione...
Grazie a tutti coloro che hanno visitato il blog e condiviso questo post. Un caloroso saluto da Amare, Viaggiare, Scrivere.
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